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 20-Gennaio-25

Pinacoteca Comunale "Carlo Servolini": sabato 15 marzo il Finissage della mostra “Raoul Dal Molin Ferenzona. Enchiridion notturno. Un sognatore decadente verso l’occultismo e la teosofia”

Pinacoteca Comunale \

L’Amministrazione Comunale di Collesalvetti è lieta di annunciare, sabato 15 marzo, ore 17.00, il Finissage della mostra “Raoul Dal Molin Ferenzona. Enchiridion notturno. Un sognatore decadente verso l’occultismo e la teosofia”, dal titolo DA PLATONE E ERMETE TRISMEGISTO A JOSÉPHIN PÉLADAN E ELÉMIRE ZOLLA: DECLINAZIONI DEL MITO DELL’ANDROGINO NELL’OPERA FERENZONIANA, promosso e organizzato dal Comune di Collesalvetti, in collaborazione con SOCIETÀ TEOSOFICA ITALIANA /MEDIA PARTNER, ideato e curato da Francesca Cagianelli in collaborazione con Emanuele Bardazzi.

Ormai di prassi, per quel che riguarda la programmazione culturale della Pinacoteca Comunale Carlo Servolini, il Finissage convergerà verso nodi culturali di valenza trasversale, e coinciderà in quest’occasione con il mito dell’androgino tra arte, letteratura, teosofia e psiche.

Nell’orazione dei Gemelli Ferenzona celebra l’idea di perfezione attraverso l’evocazione dell’Androgine: «Per la virtù di Vijnâna su la fronte degli Ermafroditi e degli Androgini è incastonata, o Maestro, l’Agata – e negli occhi della fenice brilla il topazio».

Se l’Androgino incarna l’unione di principio maschile e femminile, risolvendo e superando le opposizioni (Scarabelli 1998), i curatori del Calendario punteranno l’obiettivo sulla meravigliosa galleria ritrattistica di Raoul Dal Molin Ferenzona, e in particolare su alcune delle infinite variazioni iconografiche pervase dal mistero dell’identità sessuale, in primis Le sorelle (circa 1925), prescelta come immagine identitaria del Calendario.

Temi e indirizzi del Calendario Culturale colligiano sono d’altra parte imprenscindibili rispetto alle teorie elaborate da Carl Gustav Jung nell’ambito della cosiddetta “psicologia analitica”, ma non mancheranno focus e divagazioni relative al radicamento del mito dell’androgino nel substrato culturale e religioso dall’Estremo Oriente all’Occidente.

Se infatti il vagheggiamento dell’androginia deve ascriversi ai cosiddetti miti della polarità, è proprio nella religione induista tanto amata da Ferenzona che si rinvengono le coordinate di una vera e propria idolatria, come testimonia la Bhagavad Gītā, sorta di Vangelo della civiltà indiana, dove si enuncia il processo introspettivo tendente alla totalità psichica, cioè alla fusione di Eros e Thanatos, per cui le opposizioni sono destinate a dissolversi per approdare alla coniunctio oppositorum; d’altra parte nel Simposio, forse il più celebre dei Dialoghi di Platone, Aristofane pronuncia un discorso in cui la celebrazione dell’amore coincide con il racconto del mito dell’androgino, successivamente elaborato secondo diverse interpretazioni, finchè, alla fine del Quattrocento, Marsilio Ficino riproporrà la filosofia del neoplatonismo in una prospettiva cristiana, fino a trasformare il mito aristofaneo in una celebrazione dell’eros intellettuale e contemplativo.

Grazie anche alle teorie di Joséphin  Péladan la figura dell’androgino giunge a identificarsi con l’immagine dell’efebo, femminilizzato e ancora vergine, fino a divenire una delle ossessioni più pervasive della decadenza attestata in diversi esponenti dell’estetismo letterario, a partire da Honoré de Balzac che nella novella Sarrasine racconta le vicende del giovane protagonista innamoratosi di una cantante d’opera, in effetti uomo dalle fattezze femminili, per proseguire con la biografia di Orlando, romanzo omonimo del 1928 di Virginia Woolf, il cui protagonista, un giovane nobile inglese, contrassegnato dall’androginia, dopo quattro secoli, si risveglia donna, trovando infine la realizzazione in veste di scrittrice; ma ancora nel celebre romanzo Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, la giovinezza e la bellezza del protagonista, cristallizzata nel tempo grazie a un patto demoniaco, travolge entrambi i sessi.

La fortuna dell’androgino dilaga inoltre tra i principali protagonisti del Simbolismo, tra cui Gustave Moreau, Edward Burne-Jones, Armand Point, Fernand Khnopff e Jean Delville, che contribuirono a declinarlo in direzione enigmatica e sensuale.

Particolarmente influenzato dall’occultismo di Péladan e dai pronunciamenti teosofici di Edouard Schuré, Jean Delville dipinse L’École de Platon, raffigurante il filosofo attorniato dai suoi allievi, i cui corpi nudi esibivano le caratteristiche efebiche dell’androgino sintomo di evoluzione spirituale.

Da parte sua Ferenzona applica la reversibilità dei sessi nel ritratto di Hafiz (il poeta persiano Hāfez di Shiraz), per il quale utilizzò una lastra ritraente una figura femminile incisa in precedenza per poi trasformarla al maschile con l’aggiunta di vari dettali come i baffetti e il copricapo a turbante: celebrato soprattutto in ambito tedesco a partire da Goethe, Hāfez, autore di versi sospesi tra la sfera terrena e il registro mistico, pervasi dal misticismo sufi, ispirato alla dottrina esoterico-gnostica, rivelando affinità con la poetica medievale stilnovista, firmò un Canzoniere indirizzato a un misterioso e inafferrabile amico, un efebo di estrema bellezza che incarna lo shāhed, il testimone angelico dell’invisibile e del soprannaturale divino.

Intervengono: 

Emanuele Bardazzi, storico dell’arte

Patrizia Moschin Calvi, Segretario della Società Teosofica Italiana APS

Alfonso Iacono, docente di Teoria e Storia dei Sistemi Filosofici all’Università di Pisa

Andrea Muzzi, storico dell’arte, già Soprintendente Archeologia belle arti e paesaggio per le province di Pisa e Livorno.

Uno sguardo sulla mostra

La mostra dal titolo Raoul Dal Molin Ferenzona: Enchiridion Notturno. Un sognatore decadente verso l’occultismo e la teosofia, promossa e organizzata dal Comune di Collesalvetti, ideata e curata da Emanuele Bardazzi e Francesca Cagianelli, con il contributo di Fondazione Livorno, in collaborazione con la Società Teosofica Italiana / MEDIA PARTNER, in programma alla Pinacoteca Comunale Carlo Servolini dal 14 novembre 2024 al 15marzo 2025 (Villa Carmignani, Collesalvetti, via Garibaldi, 79 – INGRESSO GRATUITO: tutti i giovedì, sabato e domenica, ore 15.30-18.30; anche su prenotazione per piccoli gruppi; visite guidate gratuite su prenotazione: info: 0586980118-227 e 392/6025703; cultura@comune.collesalvetti.li.it; www.comune.collesalvetti.li.it), intende illustrare, attraverso un percorso espositivo di circa 80 opere pittoriche, grafiche e illustrative, la prestigiosa carriera di Raoul Dal Molin Ferenzona (Firenze, 24 settembre 1879 – Milano, 19 gennaio 1946), la cui estrazione fiorentina e la pluriennale militanza labronica si coniugarono con lunghe permanenze in Europa, il cui esito influì definitivamente sulla vocazione simbolista ed esoterica dell’artista.

Con questo nuovo magistrale percorso tra il territorio e l’Europa, l’Amministrazione Comunale di Collesalvetti offre un’opportunità letteralmente unica tanto alla comunità colligiana, quanto al grande pubblico nazionale e internazionale, di assaporare e rileggere la biografia, lo stile e la variegatissima produzione di un raffinato protagonista del ‘900 toscano quale Raoul Dal Molin Ferenzona, già indagato tra il 1978 e il 1979 in due pionieristicheiniziative espositive, rispettivamente all’Emporio Floreale di Roma e a Villa Maria di Livorno - entrambe curate da Mario Quesada con indubbio talento investigativo - e successivamente inquadrato nell’ambito di un’egregia impalcatura storiografica da Emanuele Bardazzi che nel 2002 assestava una ricognizione ragionata del percorso estetizzante e misteriosofico dell’artista, da più di vent’anni fuoriuscito dai riflettori critici.

Nato a Firenze il 24 settembre 1879, da “famiglia vagamente aristocratica”, il cui padre Giovanni Gino, scrittore e letterato, fu corrispondente a Livorno de “La Gazzetta d’Italia”, e, in quanto autore di due opuscoli anonimi contro Garibaldi, si guadagnò l’ostilità di garibaldini e mazziniani, fino ad  essere pugnalato a morte la sera del 19 aprile 1880, Ferenzona assumerà nella sua complessa personalità le stigmate di questo e luttuoso preambolo biografico, con ogni probabilità all’origine del legame fatale con Livorno, il cui cosmopolitico palcoscenico espositivo di “Bottega d’Arte” costituirà una tappa significativa nell’ambito della sua misteriosa e nomadica carriera.

In circa ottanta opere, suddivise in quattro sezioni, i curatori propongono un’immersione totalizzanteed emozionante nell’universo eclettico, tra misticismo e decadentismo, di un protagonista del Novecento toscano, contraddistinto da un inguaribile tormento spirituale, acuito dall’inquietudine di eterno déraciné votato alla vita nomade, dall’abuso di alcool e da un’instabilità nervosa capace di scatenare nella sua mente ossessioni paranoiche e voci persecutorie, e la cui tensione ascetica alla ricerca spasmodica di mete arcane e trascendentali rappresentava un autentico processo evolutivo dell’anima e di trasmutazione alchemica della coscienza, generato dal conflitto interiore tra le ragioni del Bene e del Male.

Approdato dopo infinite peregrinazioni internazionali, da Parigi a Vienna,da Bruges a L’Aya, dalla Moravia a Praga, in ambito livornese Ferenzona riuscì a radicarsi brillantemente nell’ambito della compagine artistica cittadina, dal Caffè Bardi al Gruppo Labronico, con una congerie di ritratti, paesaggi, capisaldi mistici, esoterici, occultistici, destinati ad esercitare sul pubblico un’attrazione fatale, fino a imporsi come artefice di una féerie teatrale, ricostruita oggi per la prima volta grazie allo straordinario materiale documentario e iconografico conservato presso l’Archivio della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, (sezione Archivi delle arti applicate italiane del XX secolo), così come a seguito di una puntuale schedatura del quotidiano cittadino “Il Telegrafo”, sulle pagine del quale lo stesso Ferenzona inneggiava all’inedita spettacolarizzazione del metodo pedagogico del compositore svizzero Émile Jaques-Dalcroze (Vienna, 6 luglio 1865 – Ginevra, 1luglio 1950).

Ecco che uno dei capolavori editoriali di Ferenzona, vero e proprio diapason della collaborazione con i Fratelli Belforte, costituito dal magnifico volume (Misteri Rosacrociani – Opera n.° 2), AÔB (Enchiridion Notturno) - Dodici Miraggi Nomadi, Dodici Punte di Diamante originali, stampato dalle Edizioni di “Bottega d’Arte”,ribadivanella dedica “Al mio indimenticabile, indivisibile, invisibile fratello Frederick Chopin”, certo notturnismo preraffaellita di tangenza dannunziana contiguo all’indirizzo estetico di “In Arte Libertas” e ai circuiti di “Novissima”, mentre la “rilegatura in raso e ricami”confermava quella propensione decorativa adombrata dallo stesso Ferenzona nell’evocazione dell’artista artigiano, intento a “fabbricar scatole di cartone, / O dorare piccole Veneri di gesso, / O far fiori di legno traforato!”, intonata nell’introduzione a LaGhirlanda di stelle(Roma, Tipografia Concordia 1912).

La prima sezione dal titolo “Raul Dal Molin Ferenzona tra l’Italia e l’Europa: il viatico eterodosso di un iniziato rosacrociano”, curata da Emanuele Bardazzi, è affidata a trentadue highlights della carriera pittorica e grafica dell’artista, particolarmente significativi di un percorso artistico iniziato all’alba del Novecento ed evolutosifino alla morte con fedeltà e coerenza ai propri principi estetici anticonvenzionali e alle proprie simbologie anagogiche, attraverso un intreccio complesso di esperienze italiane e internazionali multiformi e costellate di innumerevoli viaggi in patria e all’estero,scanditi da letture, conferenze ed esposizioni. Si tratta di dipinti, acquarelli e incisioni dove spiccano vari inediti di straordinario fascino.

Tra le opere legate al tema della femminilità tentatrice e funesta si segnalanoalcuni capolavori mai visti, tra cui Le sorelle, raffigurante due intriganti volti di donna dalle sembianze luciferine; Mascheredivagazione fantastica animata danudi femminili e personaggi grotteschi allusivialle masquerades di James Ensor; e, ancora, Paesaggio con faunesse, dove due creature misteriose e ibride giacciono immerse in una natura metamorfica e selvaggia. Ad esse si contrappongono immagini idealizzate e arcane di Muse vibranti di malinconia e di simbolismo alchemico, anch’esse inedite, tra cui la misteriosa e sacerdotale Donna con falena; prescelta non a caso quale icona della mostra; una fanciulla mistica che suona l’arpa accompagnata dal motto Canto la mia canzone sull’arpa del mio stesso dolore e quindi un’incisione dominata da una figura femminile con in mano una chiave, recante in calce la citazione Il n'y a rien de plus beauqu'uneclef, tantqu'on ne saitpas ce qu'elleouvredi MauriceMaeterlinck, all’originedella predilezione costante di Ferenzona per la letteratura del Simbolismo belga e fonte di ispirazione per i poeti crepuscolari al cui cenacolo romano si unì tramite l’amicizia fraterna con Sergio Corazzini.Di estremo interesse in questa prima sezione, florilegio di registro senz’altro antologicodella produzione ferenzoniana, risultano alcuni ritratti incisi di personaggi celebri come William Blake, Aubrey Beardsley e Gabriele d’Annunzio, verso i quali l’artista concepiva particolari affinità elettive. Presenti inoltre dipinti iconici come Gli occhi degliangeli, Fulvia, La vetta e Gaspard de la nuit  ispirato quest’ultimo all’omonima raccolta di poemetti gotici in prosa di Aloysius Bertrand, molto amati da Charles Baudelaire. Suggella tale ouverture un rarissimo e inedito tabernacolo in legno dipinto, intitolato Annunciazione di Maria, già appartenuto all’artista Luca Patella.

La seconda sezione, dal titolo “Come croce del tuo sogno: nomadismi spirituali di Ferenzona dal crepuscolarismo corazziniano alla Società Teosofica di Roma”, curata da Francesca Cagianelli, intende ripercorrere tappe e relazioni inerenti i reiterati soggiorni romani dell’artista, dalla primissima congiuntura del 1904, contrassegnata dalla contiguità con i circuiti artistici e letterari del decadentismo crepuscolare, culminante con la stesura de La Ghirlanda di stelle, edita nel 1912 e dedicata ai due più intimi amici, il collega faentino Domenico Baccarini, conosciuto all’epoca della frequentazione dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, e il poeta Sergio Corazzini, con cui dovevacondividere la prestigiosa collaborazione alla rivista “Cronache latine”, di cui eseguì la copertina del primo fascicolo divenuto ormai di estrema rarità e oggi visibile in mostra.

Inaugurata dal profetico e dandysticoAutoritratto dell’artista (1904-1907), seguito dal magnifico inedito di Ritratto di Domenico Baccarini (1904 ca.), eseguito a pastello nel 1906 poco prima della sua morte, la sezione si snoda sull’onda della suggestione di alcuni capisaldi della produzione purista di eco preraffaellita e khnopffiano, quali The puppets, vagamente ispirata a La femme et le pantindi FélicienRops; Gravis dum suavis, inneggianteal motto latino usato da d’Annunzio per evocare la dolcezza esangue di Ippolita Sanzio nel romanzo Iltrionfo della morte; La Madonna dei Sette Dolori, e infine lo straordinario inedito L’urna d’ebano e l’anfora d’avorio (1914), tutte icone di un languido misticismo in bilico tra seduzione e ascesi, destinato a confluire in un sensualismo religioso che riecheggia la poetica dei simbolisti belgiquella corazziniana dell’Amaro calice,non senza attinenze con la Digitale purpurea di Giovanni Pascoli e conil Poema Paradisiaco di Gabriele d’Annunzio.

Snodo centrale dell’itinerario espressivo dipanato in questa seconda sezione è la puntasecca di esclusiva estrazione malefica, Le Orvietane (1909), i cui tenebrosi mantelli, allusivi al leit motiv ferenzoniano dei pipistrelli, evocano mirabilmente l’immaginario notturno tipico della stagione orvietana, quando l’artista, in stretta contiguità con Umberto Prencipe, si impegnò nel restituire atmosfere visionarie e presentimenti lugubri, debitrici alla temperie di Bruges-la-morte di Rodenbach.La conclusione ideale del percorso espositivo è affidataadue esemplari della Cartella Via Crucis (Roma, Società Editrice Universa 1919-1921), coevi a uno dei capolavori librari dell’artista, Zodiacale,Opera religiosa. Orazioni, acqueforti, aure di Raoul Dal Molin Ferenzona (Roma, Casa Editrice Ausonia, 1919), estremo approdo del ragionamento esoterico di Ferenzona, articolatosi ulteriormente nell’ambito dei circuiti artistici e culturali della Società Teosofica di Roma.

La terza sezione, dal titolo “La stagione livornese di Ferenzona dal Caffè Bardi a Bottega d’Arte: gocce di veleno tra revival maudit e pastiches esoterici”, curata da Francesca Cagianelli, punta a focalizzare la centralità dell’artista nell’ambito della compagine labronica primonovecentesca, inauguratasi nel 1916 con la cruciale esposizione ai Bagni Pancaldi recensita da Giuseppe Maria del Chiappa, e successivamente attestata dalla reiterata partecipazioneal calendario espositivo di “Bottega d’Arte” Livorno, dapprima tra il 1922 e il 1923 e quindi nuovamente nel 1923, mentre nel 1924 figurerà alla VII Mostra del Gruppo Labronico allestita nelle sale del Regio Liceo Niccolini.Merita registrareche in occasione della personale del 1923 Maria Amadasi Rossetti enfatizzerà il fervido riscontro livornese rispetto all’eccezionalità del fenomeno ferenzoniano, confermando il gradimento crescente nei confronti di una proposta simbolista pur coltissima ed elitaria.Ponderoso in tale occasione il dispiegarsi del percorso espositivo, consistente in un centinaio di opere, tra tempere, dipinti e acquerelli, con l’aggiunta di xilografie e acqueforti, destinate a scatenare nel pubblico e tra la critica addirittura “sensazioni ultra terrene”, senza contare che la stessa Amadasi Rossetti mostrerà estrema consapevolezza di quella cultura della perversione muliebre di marca rosacrociana innervata da Ferenzona nelle sue cocottes e ‘perfide damigelle’.Divenuto in tali frangenti collaboratore autorevole e privilegiato della Casa Editrice Belforte, Ferenzona firmava nello stesso 1923 l’ennesimo capolavoro editoriale, AÔB (Enchiridion notturno), presentato nell’ambito della Mostra del libro organizzata ancora una volta nelle sale di “Bottega d’Arte” nel dicembre 1923 e curata dal simbolista belga Charles Doudelet, che con l’artista condivise una pluriennale affiliazione al circuito della Società Teosofica di Roma.

Tra gli inediti più significativi di tale sezione, cortesemente reperiti da Emanuele Bardazzi, figurano due acqueforti presentate a “Bottega d’Arte”, ovvero Il ristorante (1910 ca.), di temperie decadente e notturna, e I ladri (1914), straordinariamente legata all’universo degli angiporti praticato all’epoca da Renato Natali e Gastone Razzaguta, di lì a poco trionfanti con soggetti analoghi all’Esposizione Pro-Soldato; e ancora I tre dei e le tre stelle (I viveurs), ascrivibile al 1920, che Ferenzona appose anche a corredo di un esemplare unico,rilegato in pergamena miniata, dell’omonimo racconto di ispirazione simbolico-astrologico, tratto da Zodiacale, ed esposto anch’esso a “Bottega d’Arte”.

La quarta sezione dal titolo “Visionari, mistici e demoniaci: prodromi di grafica internazionale dall’idealismo estetico di Péladan all’occultismo praghese di Sursum”,curata da Emanuele Bardazzi,offre una preziosa rappresentanza del milieu simbolista europeo tra ‘800 e ‘900, che fu fonte di ispirazione primaria per la produzione immaginifica di Ferenzona, maturata negli anni giovanili attraverso il suo peregrinare nelle diverse città straniere – da Monaco di Baviera a Bruges, da L’Aya a Berna, da Vienna a Praga – in cerca di affinità elettive e nutrimenti spirituali. Sfilano dunque opere grafiche di FélicenRops, Fernand Khnopff , Marcel-Lenoir e Carlos Schwabe (di cui è esposto il grande manifesto originale del primo Salon de la Rose+Croix del 1892), artisti prediletti dal capofila rosacrociano JoséphinPéladan perché in linea con il suo credo dell’arte idealista di impronta cattolico-esoterica. Presenti artisti olandesi quali JanToorop e RichardNicholaüs Roland Holst, che coniugano l’influsso preraffaellita con la linea modernista della Nieuwe Kunst, e il francese di madre belga e padre olandese Georges De Feure con una suggestiva litografia notturna dalla serie Bruges mystique et sensuelle, ispirata a Georges Rodenbach. Una rara acquaforte di Joseph Uhl, Askese, raffigurante una monaca nuda con una croce di spine sui fianchi rimanda in modo quasi palmare a un soggetto eseguito a punta di diamante da Ferenzona per illustrare il volume Aôb, mentre Schlangenbraut (La sposa del serpente), incisa da Heinrich Vogeler, si ricollega alle incisioni a tema favolistico del nostro dedicate a principesse prigioniere di draghi spaventosi.

Non mancano infine tre esponenti rappresentativi del gruppo praghese Sursum, ovvero Josef Vachal, František Kobliha e JanKonůpek, che colorano la Secese  boema di sfumature occultiste in bilicotradiabolismo e ascetismo.

L’ampio e documentato catalogo (SILVANA EDITORIALE), curato da Emanuele Bardazzi e Francesca Cagianelli, risulta particolarmente prezioso per la messe di materiali documentari inediti rinvenuti, ma anche per la rilettura articolata e originale della stagione europea condivisa dall’artista, così come per la ricostruzione dettagliata di alcuni importanti episodi di ambito labronico che contribuiscono a ridisegnare sul nostro territorio una temperie indiscutibilmente internazionale.

Parallelamente alle quattro sezioni ordinate dai curatori, si affianca, secondo la prassi espositiva ormai pluriennale della Pinacoteca Comunale Carlo Servolini, una SEZIONEBIBLIOGRAFICAE DOCUMENTARIA, che presenta in anteprima un ampio ventaglio delle imprese editoriali dell’artista, cortesemente concesse in massima parte da Emanuele Bardazzi: Fergan di Ferenzona, I tre moschettieri di legno, Firenze 1904; “Cronache Latine”, Roma 15 dicembre 1905; “Vita d’Arte”, Siena, aprile 1909; Raoul Dal Molin Ferenzona, La ghirlanda di stelle, Roma 1912; Raoul Dal Molin Ferenzona, Aquila ipse est Johannis, Firenze 1917; Raoul Dal Molin Ferenzona, Zodiacale. Opera religiosa, Roma 1919; Raoul Dal Molin Ferenzona, Vita di Maria, Roma 1921; Raoul Dal Molin Ferenzona, AÔB, Livorno 1923; “Bollettino Bottega d’Arte”, Livorno, gennaio 1923; “Gruppo Labronico. VI mostra d’arte”, Livorno, agosto-settembre 1923; “Bollettino Bottega d’Arte”, Livorno, dicembre 1923; “Bollettino Bottega d’Arte”, Livorno, giugno-luglio 1924; Raoul Dal Molin Ferenzona, Ave Maria, Firenze 1926; Paul Verlaine, L’amour et le bonheur, Milano 1940; Alessando Manzoni, Inni sacri, Firenze 1944.

A completamento di tale sezione spiccano due raffinatissimi manufatti di arte applicata, ideati e realizzati dall’artista, Lume da tavolo, intagliato in legno, e Bastone con manico d’avorio, testimonianze preziose di quell’impegno nell’ambito delle arti decorative apprezzato e segnalato a Livorno dall’outsider Giuseppe Maria Del Chiappa che sulle pagine del Telegrafo del 1916 proponeva non a caso il paragone con l’antico miniaturismo persiano e la moderna arte libraria tedesca: “I suoi «disegni decorativi» fabbricati per stoffe, per pannelli, ecc., si sono avvicinati per alcun tempo a stili diversi; dal russo al persiano antico, al tedesco moderno; ma sono poi usciti nella loro personalità ferenzoniana. E se oggi sono degli accenni, degli appunti, dei frammenti insomma – si augura Del Chiappa - noi dobbiamo credere che aumenteranno di mole e che godremo la realizzazione di quella gioia di colori e di forme che il decoratore nell’ansia del suo desiderio ha oggi fabbricato per la sua bellezza”.

 
 
 

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